Spesso cade un vitello, sgozzato davanti agli altari
fumanti d’incenso di splendidi tempi sontuosi,
caldi fiotti di sangue versando dal petto squarciato.
Erra la madre intanto, privata del piccolo nato,
lungo gli argini verdi e le boschose pasture;
fiuta nel suolo l’orme dei suoi piedi in due divisi,
ogni luogo dintorno scruta con ciglia languide,
se il suo perduto figlio mai le riesca scorgere
fuori mano, in qualche oscuro angolino appartato;
e spesso, sostando, mugghia, mugghia pietosamente
dentro i boschi frondosi; poi torna alla stalla deserta,
trafitta il cuor dall’ansia per lo scomparso giovenco:
nè teneri salici nè rugiadose erbucce nuove
nè limpide acque, scorrenti a lambire le sponde,
possono placarle il cuore, lenirle lo strazio improvviso.
Vitellini aderbanti vede sui floridi pascoli:
non calmano il suo affanno e neppur possono sviarla:
ricerca il figlio suo, il vitellin, la dolce carne.
Tito Lucrezio Caro, De rerum natura